Ad un certo punto della mia vita ho deciso di lasciare un lavoro sicuro, una vita sicura, un'identità sicura, per inseguire il mio SOGNO e sono partita da sola per la Thailandia.
Estratto dal diario di viaggio che inviavo via e-mail agli amici a casa:
Chiang Mai, Thailandia, 06 Marzo 2007
Un passo indietro.
Ho iniziato a mandare le pagine del mio
diario a tutti gli amici ai quali mi sento vicina, anche a quelli che non vedo
da tanto ma sono sempre comunque importanti. L'ho fatto per me, per sentire di
avere tutti accanto in questa esperienza, ma mai mi sarei aspettata che le mie
parole potessero essere importanti per qualcuno, anzi, con mia enorme sorpresa
per molti. Mi sembra quindi giusto a questo punto, dire qualcosa di più su
quello che è avvenuto prima della partenza, prima di lasciare il lavoro, prima
della Thailandia.
Tanti mi conoscono abbastanza da sapere
la mia storia, altri meno, ma non credo che tutti sappiano, compresi gli amici
più cari, che cosa mi sia scattato dentro per portarmi a cambiare così
radicalmente non solo le carte in tavola, ma anche tavolo e giocatori.
La storia dei miei passati trent'anni
non è probabilmente né più bella né più brutta di altre, di certo non più
originale, è inutile però andare troppo indietro, cose da dire ce ne sarebbero
eccome, non tanto sul mio mondo quotidiano quanto su quello interiore, ma non è
questo il momento.
Arriviamo subito alla fine delle
superiori, diploma di ragioneria, devi pensare a cosa fare visto che ormai gli
anni spensierati sono finiti, che poi tu tutti questi anni così spensierati
mica te li ricordi, anzi, se ci pensi caspita se crescere è stata dura.
Comunque, decidi di andare a studiare
inglese a Londra per un anno, grande esperienza, a volte dura, a volte
meravigliosa, ma l'anno passa e te ne torni a casa.
Lavori per un po' in una scuola di
inglese, poi un nuovo impiego in un ufficio, e il nuovo impiego non è più nuovo
perché sono passati già sette anni e tu ne hai ventinove.
O porca miseria e dove sono finiti tutti
quegli anni?
Cos'è successo nel frattempo?
Com'è che avevi iniziato tanto bene
andando a studiare all'estero e poi ti sei persa per strada?
E dove ti sei
persa?
Ripensi agli ultimi anni, tanti periodi
molto felici certo, ma niente di costruito, niente di concreto. Non sai dove
vuoi andare, non hai interessi particolari se non quelli per ammazzare il tempo
e ammazzare è proprio il termine giusto perché passare il tempo non rende
l'idea. Ti dividi tra lavoro, yoga, palestra, corsi mai terminati di balli
caraibici, il ricordo di un amore finito e nessuna voglia di crederci ancora.
Ti svegli la mattina, novembre,
dicembre, gennaio… chi lo sa, tutti i giorni uguali. Il treno in ritardo. Le
solite facce nella solita terza carrozza. Il treno che si ferma 10 minuti in
galleria. Il vociferare che da sussurro diventa sempre più alto, la tensione
che cresce, decine di polsi che si girano in sincrono per mostrare l'orologio
che scandisce le gocce di sudore. Una e poi un'altra e un'altra ancora, tin tin
tin, scivolano come gelide puntine sulla fronte, l'ansia di arrivare in
ritardo:
<<E ora che gli dico a
quello>>, <<Miseria mi tocca uscire mezz'ora dopo>> e
<<Non riesco a fare colazione>>.
Ti sembra di poter leggere nella mente
della gente, perché i pensieri dei pendolari sono sempre quelli, a
compartimenti stagni. I pensieri dell'andata sono tutti: Colazione, ritardo,
speriamo sia di buon umore. Quelli del ritorno sono tutti: Se si ferma perdo
l'autobus, ma chi ne ha voglia di uscire sta sera sono cotto, speriamo di non
incontrare nessuno che conosco sennò mi tocca parlare.
Insomma, arrivi in centro, il vento
gelido ti si è appiccicato alle ossa e ai vestiti. Entri nel solito bar e ti
sembra che le persone ti stiano lontane perché quel freddo che hai addosso
raffredda il locale. Le solite quattro chiacchiere con il barista che ti ha
conosciuto ragazzina e giorno dopo giorno chissà cosa pensa delle tue occhiaie
e delle rughe che iniziano a vedersi (ma che si guardi un po' le sue di rughe)
e così esci che sei già di malumore.
Lavoro. Inutile spendere parole perché
tanto ogni giorno è uguale all'altro. Pausa pranzo, un'ora, il solito giro dei
misci (poveri), cioè guardare le vetrine senza comprare niente, tanto che odi
il periodo dei saldi perché le vetrine non le cambiano mai. Solito panino
volante, telefonata alla mamma. Lavoro. Treno. Palestra. Bevuta con gli amici.
Nanna.
Quando proprio va di lusso, aperitivo,
meno male che esiste!
Non so se a voi queste righe dicono
qualcosa, certo la mia vita non era solo quello, ma l'idea, il sentirsi
soffocare in un inverno senza fine - perché sicuramente sarò andata al lavoro
anche in altri mesi, non solo da novembre a febbraio, ma insomma - la
sensazione è sempre quella.
Poi il colpo finale. Un anno prima, di
anni ne hai ancora ventotto, capo nuovo e nel giro di un anno detesti tanto il
tuo lavoro che ti sembra di averlo sempre odiato, eppure per sei anni ti è
andato bene. Certo non era il sogno della tua vita, ma lavoravi con qualcuno
che stimavi davvero e che ogni giorno ti insegnava qualcosa. Abituata troppo
bene forse, ma insomma che per te andare al lavoro è diventato un incubo e la
routine, che prima semplicemente ti annoiava, è diventata una trappola che ogni
giorno ti instilla goccioline di veleno nelle vene. Piano piano, ma piano piano
ti senti morire dentro e d'un tratto nemmeno gli aperitivi funzionano più.
Poi un giorno ti fermi, ti guardi alle spalle,
ai quasi dieci anni di ufficio tutti appiattiti in un unico identico ieri. Poi
guardi avanti, ai prossimi trenta nello stesso ufficio tutti gonfiati in un
unico, enorme, inutile domani, e ti chiedi:
<<Ma davvero la vita è tutta qui?
Davvero sono nata per digitare quattro tasti, farmi venire il mal di schiena,
la colite e il male agli occhi?
Davvero sono nata per svegliarmi, mangiare,
lavorare, dormire e andare nei vicoli?
Come può la vita essere tutta qui?
Come
posso pensare di vivere altri trent'anni identici a quei dieci di cui sono già
stufa?
Per poi cosa?
Passare una pensione da frustrata, perché quando andremo
in pensione noi probabilmente dovremo pagare per stare a casa?
Può la vita
valere davvero così poco?>>.
Non pensiate che sia una critica nei
confronti di chi ogni giorno si sveglia per andare in ufficio, era solo una
valutazione sulla mia di vita.
Scrivere mi è sempre piaciuto e quel
giorno mi sono chiesta:
<<Se la mia vita fosse un libro o
un film, qualcuno avrebbe voglia di leggerla o vederla?>>.
E la risposta è stata no, perché io
stessa non ne avrei voglia.
Che amarezza.
E da quel momento ho deciso che avrei
fatto di tutto e di più per vivere quella vita che vorrei leggere in un libro,
vivere la mia vita come il preferito tra i miei film, ecco cosa mi è scattato
dentro!
Nulla nella vita è positivo o negativo,
almeno non totalmente, dipende da come noi elaboriamo l'esperienza e in cosa la
tramutiamo. Il cambiamento in ufficio per me è stato davvero un giro di boa,
poteva diventare un incubo (e per un po' lo è stato), ma grazie a Dio l'ho
fatta diventare un'opportunità, la più importante.
Se questo cambiamento negativo non fosse
avvenuto, forse sarei andata avanti altri dieci anni o più in un lavoro che non
mi rendeva felice ma nemmeno triste, insomma, una bella insipida minestrina. Ma
per fortuna, e sottolineo per fortuna, la situazione è diventata così negativa
per me che sono stata costretta a fare qualcosa.
Il mio treno, e sta volta non
ci sono i dieci minuti di stop in galleria.
Da lì una miriade di cose, Reiki, il
corso di massaggio Ayurvedico, il corso di riflessologia, conferenze, corsi di
crescita personale ecc ecc ecc.
Sei stata fortunata certo, perché hai
trovato cose che ti piacciono davvero, cose che ti somigliano, in cui sei te
stessa. Fortunata certo, ma hai anche la voglia e la tenacia di seguirle tutte
quelle cose, ma proprio tutte, tutte insieme.
Hai davanti a te un sogno, ma per un
anno la tua vita è un massacro. Lavoro in ufficio in settimana, tutti i week
end e dico tutti, un corso, studiare e fare pratica di sera e poi finalmente
iniziare a fare i massaggi dopo il lavoro. Finalmente si, ma intanto i massaggi
te li scoppi dopo una giornata in ufficio e un week end che l'ultimo in cui ti
sei riposata erano almeno sei mesi prima.
Ma non è stata questa la parte più dura.
Certo, alla fine eri totalmente esaurita e non tanto per dire, ma la vera
battaglia, la vera sfida, sono stati gli amici, non tutti chiaro, ma troppi se
ci pensi.
Quelle persone che sulla carta avrebbero
dovuto sostenerti, sono state quelle che ti hanno criticato perché nei week
end, invece di uscire per la solita bevuta identica a quelle degli ultimi
quindici anni, ti sacrificavi per i tuoi corsi.
Sono state quelle che non volevano
accettare che stavi cambiando.
Sono state quelle che invece di
sorreggerti perché la strada era dura, invece di darti una spinta per uscire
finalmente dall'acqua e poter così respirare, hanno cercato di ritirarti giù.
Strano vero? Tante volte mi sono chiesta
perché, forse perché i cambiamenti sono duri da metabolizzare anche se sono di
altri? Forse perché è difficile accettare che qualcuno cerchi di essere felice,
o almeno cerchi di uscire dalla campana di fumo in cui ci hanno convinti che
dobbiamo vivere per essere persone per bene e normali e vedere se quello che si
sentiva era l'eco o una vita che si ripeteva all'infinito? Forse perché questo
le costringe a chiedersi se loro della loro vita sono felici? Chi lo sa. Una
risposta non me la sono data, provate a darvela voi, di fatto io sono dove sono
e loro…
Ma il rovescio della medaglia è stato
invece un regalo immenso, gli altri amici, quelli veri e persone che mi
conoscevano appena, mi hanno aiutato in tutti i modi. Mi hanno sostenuta, mi
hanno fatto sentire la loro stima e credetemi, quando si decide di cambiare
così profondamente la propria vita, ogni parola di conforto e di approvazione
ti aiuta a superare i momenti in cui i dubbi arrivano, perché è normale che
arrivino. Soprattutto per chi come me non può pensare: "Tanto se va male ci sono
mamma a papà che mi mantengono", perché la mia situazione non è quella, ma devo
dire, nel mio caso non sono mai stati sufficienti a farmi vacillare.
Da quel ventinovesimo anno di vita,
qualcosa ha iniziato a lavorare nella tua mente, quasi a tua insaputa.
È ancora gennaio, forse febbraio,
intanto le cose stanno già cambiando. Stai facendo il corso di massaggio
Ayurvedico e stai vivendo in un appartamento che dividi con la fidanzata
inglese di un tuo amico e un giorno questo amico ti dice:
<<Sai, in Thailandia fanno corsi
di massaggio thai di un paio di settimane e lì costa tutto poco>>.
E così inizi a pensare come sarebbe
bello andarci, ma senza fretta, starci qualche mese, a fare il corso, a
rilassarti, a scioglierti, a vivere, e poi pensi:
"Eh! per farlo dovrei licenziarmi".
E poi ancora, come sarebbe bello fare un
corso anche in India, e poi pensi:
"Eh! per farlo dovrei licenziarmi".
E così giorno dopo giorno queste nuove
idee prendono vita, una vita propria, prendono decisioni autonome, fanno piani
di cui quasi non ti rendi conto, e come per magia inizi a pensare:
"A settembre do il preavviso così a
gennaio parto per la Thailandia e poi vado in India e poi chissà".
I mesi passano, qualche dubbio, inizi a
valutare la possibilità di aprire un'attività nella tua città con amici che
hanno i tuoi stessi interessi, chissà forse ha ragione chi dice che sei pazza a
mollare tutto e partire.
Ma poi, finite le ferie, quando devi
tornare in ufficio, qualcosa dentro di te si rompe del tutto. Per giorni stai
come fuori dalla realtà, inizi a stare male davvero, mal di testa, che in tutto
ti durerà due mesi, troppo spesso hai dei mancamenti, la vista che si abbassa
giorno dopo giorno tanto che da un occhio quasi non ci vedi più…
Sono tutte cose vere purtroppo, è questo
che fa la mente quando il troppo è davvero troppo, tu non stacchi la spina?
Allora te la stacca lei, e non importa quante visite fai, quanti dottori vedi,
è sempre lei che decide, non esistono aiuti, sei sola, sei s-o-l-a, e sei la
tua nemica.
E così capisci che davvero la tua vita
non può valere così poco, che nessun lavoro vale tanto, che nessuno stipendio
vale tanto e che hai molto di più da dare e che soprattutto ti meriti molto di
più, ma nessuno te lo viene a regalare. Dipende da te, non puoi aspettare i
tempi degli altri, è il tuo tempo, solo tuo, solo tu puoi fare la differenza.
Arriva settembre, il giorno del tuo
trentesimo compleanno, ti svegli e si, è questo il giorno in cui ha davvero un
senso ricominciare a vivere.
Arrivi in ufficio… e ti licenzi!!!
Per tutta la vita hai sentito storie di
persone che hanno avuto il coraggio di cambiare, o anche solo la pazzia per
farlo e le hai sempre invidiate, ma adesso è il tuo turno, una di quelle
persone puoi essere tu.
Ogni cellula del tuo corpo ha
programmato questo momento per gli ultimi nove mesi, e alla fine...
arrivi sull'orlo del precipizio…
guardi giù, la solita pietruzza che cade
nel baratro come nei film…
pensi: "Merda non ho il paracadute"…
riguardi giù…
riguardi indietro cosa stai lasciando…
sorridi… "Chi se ne frega!!!"
trattieni il fiato…
e salti nel vuotoooooo
l'hai fatto!!!
L'hai fatto!
E non è il racconto di qualcun altro,
non è la storia di un libro, non è solo un sogno campato in aria nei momenti di
noia. Sei tu.
Sei davvero tu.
È davvero la tua vita che ha fatto un salto
mortale e tu sei ancora viva, si sei viva! Sei viva!
Ancora alcuni mesi duri, fino a
dicembre. Ancora amici che ti dicono che sei pazza, mollare tutto? Ma no rimani
nella cacca con noi! Partire da sola? In quel brutto mondo cattivo con quella
brutta gente cattiva e l'uomo nero che ti maaaaangia????? Huuuuuu!
Il resto
ormai è storia!
Georgia Briata
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