Era giovane, era sano, era bello, era
intelligente, sembrava che avesse tutto il necessario per sentirsi realizzato.
Eppure si sentiva sconfitto.
Si sentiva sconfitto perché aveva un
sogno, ma per quanto facesse, per quanto s’impegnasse, per quanto ci credesse,
arrivava sempre a tanto così dal realizzarlo e poi, all'ultimo momento,
qualcosa andava storto e il sogno, che sembrava così vicino, ogni volta finiva
ancora più lontano.
Qualcuno gli aveva detto che se si crede
fermamente in qualcosa, si arriva sempre, prima o poi, a vederla realizzata.
Lui aveva creduto in quelle parole, perché dentro di sé sapeva che erano vere.
Eppure ogni volta qualcosa non funzionava.
Quando era piccolo era molto timido,
molto insicuro, aveva paura di tutto e di tutti. Gli sembrava di essere sempre
un disturbo per gli altri e cercava di fare il minor rumore possibile così che
gli altri non si accorgessero della sua presenza o, qualora lo avessero notato,
arrivassero a giudicare che tutto sommato non era un così grande disturbo se
continuava a stare in un angolo e a non chiedere nulla.
Così lui se ne stava sempre in
quell'angolo della vita, attento a non fare rumore, attento a non chiedere mai
nulla per sé.
Era cresciuto senza padre, che era morto
quando lui era appena nato, ma aveva una madre piena d’amore e tanti parenti
altrettanto pieni d’amore.
Però lui, benché dal padre avesse
ereditato il cognome, non avendolo accanto, credeva che il suo diritto di
essere accolto fosse venuto meno insieme alla sua perdita.
Non si sa da dove gli venisse questa
convinzione, forse dal fatto che sentiva sempre la madre ripetere:
<<Comportati bene, abbiamo bisogno
degli altri perché io da sola non ce la posso fare>>.
E anche se la madre lo amava molto, ogni
volta che lui faceva qualcosa di sbagliato o qualcosa che la madre reputava
inadeguato al buon senso o al buon costume, sembrava che quell'amore che lei
aveva per lui, tutto sommato non fosse poi così forte, perché più importante
era quello che gli altri avrebbero pensato.
Così il ragazzo, allora ancora bambino,
si comportava sempre bene, almeno per quello che lui poteva capire che il bene
fosse. Solo che a volte era troppo piccolo per capirlo, così gli capitava di
sbagliare.
Certo lui non poteva sapere che è
normale, perché tutti i bambini sbagliano, devono imparare ed è facendo errori
che imparano.
Lui però non lo sapeva che sbagliare
fosse ammesso, che non era una cosa così grave, perché si sa che gli errori dei
piccoli possono essere solo piccoli errori. Nel suo mondo, che era piccolo
anche quello perché la sua fantasia non era ancora tanto estesa da capire che
esistesse un mondo più grande, quegli errori sembravano tanto gravi e lui si
sentiva tanto in colpa.
Sapeva che la madre gli avrebbe detto:
<<Cosa penserebbero gli altri se
lo sapessero?>> e bastava quell'idea a farlo sentire inadeguato.
Amava tanto sua madre e il pensiero che
a causa dei suoi gravissimi enormi errori, gli altri l’avrebbero lasciata sola
e lei non ce l’avrebbe fatta, perché lo ripeteva sempre quindi era proprio
così, lo faceva tanto soffrire. Si sentiva costretto a verificare ogni volta di
essere solo un peso, che a causa sua l’amata mamma si doveva sacrificare e che
lui, pur volendo fare qualcosa, non era in grado di fare nulla.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Era solo
un bambino, ma a lui questo non sembrava essere chiaro, perché a lui nessuno
aveva detto che i bambini devono solo preoccuparsi di fare i bambini e che alle
cose da grandi ci pensano i grandi. No, lui mica lo sapeva.
Così anno dopo anno era cresciuto in un
angolo della vita, a cercare di fare meno rumore possibile e a non chiedere mai
nulla per sé, sperando di non fare errori troppo grossi e cercando di
nascondere agli altri quegli errori che ai suoi occhi erano imperdonabili.
Non si perdonava mai lui, e anche se
spesso gli altri non sapevano di quali gravi errori fosse capace, come ridere
troppo forte, o divertirsi mentre giocava, o piangere quando era triste, lui si
puniva in continuazione.
Ogni volta che qualcosa sembrava potesse
renderlo felice, lui si sbrigava ad allontanarla, si sbrigava a fare l’esatto
opposto, perché se fosse stato felice, se avesse chiesto qualcosa per sé,
qualcuno lo avrebbe punito. Dal momento che nessuno sembrava mai accorgersi di
quei gravi errori ma la punizione doveva venire, se si permetteva di essere
felice per un po’, aveva deciso che allora a punirlo sarebbe stato Dio, che lui
di sicuro sapeva e vedeva tutto.
Quindi tutto sommato si sentiva
abbastanza al sicuro, sapeva che se non si fosse punito da solo ci avrebbe
pensato Dio e che quindi il suo diritto di vivere ancora un po’ nell'angolo
della sua vita, non gli sarebbe stato negato, bastava che le cose continuassero
in quel modo.
Quando si sentiva molto triste andava a
vedere il mare. Amava tanto disegnare il mare, lo disegnava in tempesta, lo
disegnava quieto, lo disegnava con le nuvole e lo disegnava con il sole. Il
mare conosceva sempre il suo umore e ogni volta che lo disegnava, sembrava in
realtà fare il ritratto di ciò che aveva dentro, dei suoi tormenti taciuti, dei
suoi sorrisi taciuti, delle sue lacrime taciute, delle sue risate taciute.
Compariva tutto lì, nel foglio appena
disegnato.
Quando il disegno era finito anche lui
si sentiva più sereno, perché quei segreti che non poteva dire, quelle paure
che non osava confessare, erano le stesse del mare e a lui pareva che le onde
lo aiutassero a portare quel peso, che sui fogli si consumava.
Ogni volta che raggiungeva la spiaggia,
vi trovava un uomo seduto su uno scoglio. Non era facile dargli un’età, aveva
qualcosa che sembrava renderlo vecchio, così come aveva qualcosa che sembrava
renderlo giovane.
L’uomo non faceva nulla, stava seduto di
fronte al mare e sorrideva.
Lo trovava sempre lì. L’uomo sorrideva
con le nuvole e sorrideva con il sole, sorrideva quando il mare era in tempesta
e sorrideva quando il mare era quieto. I suoi umori non sembravano
corrispondere a quelli del mare, l’uomo sorrideva e basta..."
Tratto dal mio libro BASTA IL MARE di Georgia Briata

I sensi di colpa e la vergogna che
impariamo da bambini ci fanno dimenticare i nostri sogni e il nostro valore. Le
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IL GUSTO DELL'ANIMA - Diario di viaggio e di un sogno di Georgia Briata
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